IL TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE PER LA PUGLIA 
                        Lecce - Sezione Terza 
 
    Ha pronunciato  la  presente  ordinanza  sul  ricorso  numero  di
registro generale 1889 del 2011, proposto  da  comune  di  Cavallino,
rappresentato e difeso dall'avv.  Ornella  Montinaro,  con  domicilio
eletto presso  l'avv.  Ornella  Montinaro  in  Lecce,  via  95°  Rgt.
Fanteria n. 102; 
    Contro Omnia Veicoli s.r.l., n.c.; 
    Per l'accertamento e la conseguente condanna della Omnia  Veicoli
s.r.l.  al  pagamento  degli   oneri   di   urbanizzazione   relativi
all'attuazione del P.I.P. del comune di Cavallino; 
    Visti il ricorso e i relativi allegati; 
    Viste le memorie difensive; 
    Visti tutti gli atti della causa; 
    Relatore nell'udienza pubblica  del  giorno  27  maggio  2015  la
dott.ssa Maria Luisa Rotondano e udito per la parte ricorrente l'avv.
D. Cioffi, in sostituzione dell'avv. O. Montinaro; 
 
                           Fatto e diritto 
 
    1. - Con ricorso notificato il 28 novembre 2011 e  depositato  il
24  dicembre  2011,  il  comune  di  Cavallino  agisce  per  ottenere
l'accertamento e la conseguente condanna della societa' Omnia Veicoli
s.r.l.  al  pagamento  di  alcune  somme,  a  titolo  di   conguaglio
(parziale), dovute per  l'assegnazione  di  suoli  edificatori  (siti
nell'area P.I.P. - Piano insediamenti  produttivi  -  del  territorio
comunale), in virtu' della convenzione stipulata, ai sensi  dell'art.
27 della legge n. 865/1971, in data 23 novembre 2006,  repertorio  n.
877, da maggiorare degli oneri (penale in caso di mancato o ritardato
pagamento) di cui all'art.  4,  lettera  d)  del  summenzionato  atto
convenzionale. 
    Non si e' costituita in giudizio la societa' Omnia Veicoli s.r.l. 
    Alla pubblica udienza del 27 maggio 2015, su richiesta di  parte,
la causa e' stata introitata per la decisione. 
    2. - In via del tutto preliminare,  il  ricorso,  ad  avviso  del
collegio, deve ritenersi tuttora procedibile, atteso che il comune di
Cavallino (con successiva nota  depositata  il  27  maggio  2015)  ha
precisato che la societa' intimata risulta ancora debitrice di alcune
somme a titolo di penale e di interessi per ritardato  pagamento,  ai
sensi dell'art. 4, lettera d) della convenzione de qua. 
    Cio'  premesso,  occorre  rilevare  come  il  presente   giudizio
riguardi l'esecuzione di obbligazioni derivanti  da  una  convenzione
stipulata ex art. 27 della legge 22 ottobre 1971, n.  865,  ai  sensi
del quale (comma  8)  «Contestualmente  all'atto  di  concessione,  o
all'atto di cessione della proprieta' dell'area, tra il comune da una
parte e il concessionario o l'acquirente dall'altra, viene  stipulata
una convenzione per atto pubblico con la quale  vengono  disciplinati
gli oneri posti a carico del concessionario o  dell'acquirente  e  le
sanzioni per la loro inosservanza». 
    Trattasi, pertanto, di un  atto  convenzionale,  suscettibile  di
essere ricondotto, unitamente ad altre fattispecie,  nell'ambito  dei
cc.dd. «moduli convenzionali in urbanistica», quali le convenzioni di
lottizzazione di cui all'art. 28 della legge 17 agosto 1942, n. 1150,
le convenzioni per la realizzazione dei Piani di edilizia economica e
popolare (P.E.E.P.) ex art. 35 della legge 22 ottobre 1971,  n.  865,
le  convenzioni  per  la  riduzione  del  contributo  concessorio  ex
articoli 17 e 18 del decreto del Presidente della Repubblica 6 giugno
2001, n. 380. 
    Convenzioni  urbanistiche  che,   secondo   una   consolidata   e
condivisibile giurisprudenza (ex multis, Consiglio di  Stato,  V,  10
maggio 2005, n. 2337, Cassazione civile, sezioni unite,  15  dicembre
2000, n.  1262),  sono  ascrivibili  alla  categoria  generale  degli
accordi previsti dall'art. 11 della legge 7 agosto 1990, n.  241,  in
virtu' del quale «1. ... l'amministrazione procedente puo' concludere
... accordi con gli interessati al fine di determinare  il  contenuto
discrezionale del provvedimento  finale  ovvero  in  sostituzione  di
questo». 
    Sul piano processuale, pertanto, non e' dubbio che a conoscere di
tali convenzioni urbanistiche debba essere il giudice amministrativo.
L'art. 133 del codice del processo amministrativo,  infatti,  per  un
verso, ribadendo il contenuto dell'abrogato art. 11,  comma  5  della
legge n. 241/1990, riserva alla giurisdizione esclusiva  del  giudice
amministrativo le controversie in materia di «formazione, conclusione
ed  esecuzione   degli   accordi   integrativi   o   sostitutivi   di
provvedimento amministrativo ...» (art. 133, comma 1, lettera  a,  n.
2), per altro verso devolve  allo  stesso  giudice  «le  controversie
aventi  ad  oggetto  gli  atti  e  i  provvedimenti  delle  pubbliche
amministrazioni in materia urbanistica e edilizia, concernente  tutti
gli aspetti dell'uso del territorio» (art. 133, comma  1,  lettera  f
del  codice  del  processo  amministrativo,  che  rinviene  i  propri
precedenti, sostanzialmente, nell'art. 34 del decreto legislativo  31
marzo 1998, n. 80, come sostituito dall'art. 7 della legge 21  luglio
2000, n. 205, ed ancor prima nell'art.  16  della  legge  28  gennaio
1977, n. 10). 
    Cio'  comporta,   pero',   che,   distribuendo   la   convenzione
urbanistica obblighi e diritti tra le parti  in  rapporto,  tanto  la
P.A. quanto il soggetto privato potrebbero ritenersi  legittimati  ad
adire il giudice amministrativo per la  realizzazione  delle  proprie
pretese. 
    Orbene, secondo quest'ottica si muovono dottrina e giurisprudenza
laddove  concordemente  riconoscono,  in  riferimento   alle   cc.dd.
«convenzioni urbanistiche», la giurisdizione  esclusiva  del  giudice
amministrativo anche quando la  pubblica  amministrazione  assume  la
veste di parte ricorrente ed il privato quella di  parte  resistente,
dovendosi ammettere la tutela della P.A. nei confronti  dei  soggetti
privati, in un giudizio c.d. «a parti invertite» (ex  multis,  T.A.R.
Bari, I, 6 marzo 2008, n. 521 e T.A.R. Veneto, II, 13 luglio 2011, n.
1219). 
    A tale  riguardo  assume,  poi,  valore  decisivo  l'orientamento
espresso  dalle  sezioni  unite  della  Corte  di  cassazione  civile
(ordinanza  7  febbraio  2002,  n.  1763)  che,   nel   regolare   la
giurisdizione in relazione ad un giudizio di  opposizione  a  decreto
ingiuntivo, emesso dal  giudice  ordinario  per  l'inadempimento,  da
parte del privato stipulante, di alcune obbligazioni previste in  una
convenzione  di  lottizzazione,  ha  avuto  modo  di   affermare   la
«giurisdizione esclusiva del g.a.» -  sia  pure  -  «ai  sensi  degli
articoli 16 della legge n. 10 del 1977 ed 11, comma 5, legge  n.  241
del 1990» (norme, poi, sostanzialmente recepite nelle  corrispondenti
disposizioni del codice del processo amministrativo), precisando  che
«Con indirizzo ormai consolidato questa Suprema  Corte  ritiene  che,
poiche' la convenzione  di  lottizzazione  conclusa  dalla  P.A.  col
privato interessato al  rilascio  di  una  concessione  edilizia  non
assume   valenza   privatistica   ed   autonoma   rispetto   all'atto
autoritativo  di  concessione,  ma  si  inserisce  nel   procedimento
amministrativo finalizzato al rilascio di essa, essendo imposto dalla
P.A. come momento necessario di  tale  procedimento  e  condizionando
l'adozione del provvedimento, la competenza giurisdizionale in ordine
alla controversia relativa all'adempimento  degli  obblighi  nascenti
dalla convenzione di lottizzazione  non  puo'  non  appartenere  allo
stesso giudice che e' competente a  conoscere  del  provvedimento  di
concessione edilizia. E, poiche', ai sensi dell'art. 16  della  legge
n.  10  del  1977,  quest'ultima  competenza  e'  attribuita  in  via
esclusiva al giudice amministrativo, lo stesso giudice e'  competente
a  conoscere   in   via   esclusiva   delle   controversie   relative
all'adempimento della convenzione  di  lottizzazione  (cfr.  Cass,  5
gennaio 1994, n. 6527; attestano la continuita' dell'indirizzo: Cass.
14 giugno 1995, n. 6687;  Cass.  7  novembre  2000,  n.  1145).  Alla
stessa, condivisa conclusione si perviene se si esamini la  questione
alla luce del disposto dell'art. 11, comma 5, legge n. 241 del  1990,
che riserva al  giudice  amministrativo  la  giurisdizione  esclusiva
sulle  controversie  relative   alla   formazione,   conclusione   ed
esecuzione degli accordi conclusi, nel pubblico interesse, dalla P.A.
con gli interessati, alfine di determinare il contenuto discrezionale
del  provvedimento  finale  ovvero,  ove  previsto  dalla  legge,  in
sostituzione di questo, trattandosi di  norma  applicabile  anche  in
relazione ad accordi conclusi prima della sua entrata in vigore (cfr.
Cass. SS.UU., 29 agosto 1998; Cass. SS.UU., 1° febbraio 1999, n.  8).
Tali principi di diritto sono applicabili al caso in  esame,  poiche'
ivi si controverte sull'inadempimento dell'obbligazione  assunta  ...
nei confronti del comune ... con la convenzione relativa ad un  piano
di lottizzazione, che poneva a carico della societa' costruttrice  le
opere  di  urbanizzazione  primaria  e  secondaria  ...  Trattandosi,
dunque, di controversia relativa all'esecuzione di un accordo facente
parte del procedimento finalizzato al rilascio della licenza edilizia
e concluso al fine di determinare in parte il contenuto discrezionale
di  tale  provvedimento,  non   puo'   dubitarsi   della   competenza
giurisdizionale esclusiva del giudice amministrativo». 
    Orbene,   in   disparte   ogni   valutazione   in   ordine   alla
compatibilita' (parziale)  dell'art.  133  del  codice  del  processo
amministrativo con altre  norme  dello  stesso  codice  del  processo
amministrativo (infatti, se l'art. 7, comma 1 del codice del processo
amministrativo   individua   quale   oggetto   della    giurisdizione
amministrativa i «provvedimenti, atti, accordi o  comportamenti  ...,
posti in essere da pubbliche amministrazioni» e l'art.  41,  comma  2
dello stesso Codice individua quali destinatari del ricorso  soltanto
la pubblica amministrazione e i  soggetti  controinteressati,  appare
evidente come l'azione della pubblica amministrazione  nei  confronti
del privato, ancorche' in sede di giurisdizione esclusiva,  in  tanto
potrebbe ammettersi in quanto fosse riconoscibile all'art. 133 codice
del processo amministrativo un valore sostanzialmente derogatorio)  e
tralasciando di considerare  ogni  conseguenza  pratica  e  giuridica
derivante dall'ammissibilita' di un'azione della P.A.  nei  confronti
del privato (in sede  di  giurisdizione  amministrativa  diventerebbe
difficile il completamento della procedura esecutiva  ai  fini  della
soddisfazione  della  pretesa  della  P.A.,   mentre   in   sede   di
giurisdizione  ordinaria  il  privato  incontrerebbe  limiti  per  la
proposizione  della  domanda   riconvenzionale),   il   collegio   e'
dell'avviso che,  quand'anche  le  soluzioni  interpretative  innanzi
richiamate dovessero risultare idonee a  superare  il  contrasto  tra
norme racchiuse nel  codice  del  processo  amministrativo,  comunque
l'art. 133 del codice del processo amministrativo non puo'  escludere
giustificati dubbi in ordine alla sua compatibilita',  in  parte  qua
(comma 1, lettera a, n. 2 e comma 1, lettera  f),  con  gli  articoli
103, primo comma, e 133, primo comma, della Costituzione. 
    L'art. 103, primo comma, della Costituzione, infatti, riserva  al
Consiglio di Stato ed agli altri organi di  giustizia  amministrativa
la  «giurisdizione  per  la  tutela  nei  confronti  della   pubblica
amministrazione degli interessi legittimi e, in  particolari  materie
indicate dalla legge, anche dei diritti  soggettivi»;  mentre  l'art.
113, primo comma della Costituzione testualmente afferma che  «Contro
gli atti della pubblica amministrazione e' sempre ammessa  la  tutela
giurisdizionale dei diritti e degli interessi legittimi dinanzi  agli
organi di giurisdizione ordinaria o amministrativa». 
    Le sopra  riportate  norme  costituzionali,  quindi,  nella  loro
formulazione inducono agevolmente a ritenere  come  la  giurisdizione
degli «organi di giustizia amministrativa», anche nelle  controversie
devolute in via esclusiva al  giudice  amministrativo,  sia  limitata
alla  tutela  del   privato   nei   confronti   della   P.A.,   parte
necessariamente resistente,  escludendo  che  la  stessa  P.A.  possa
assumere la veste di parte ricorrente. 
    Nonostante il dettato  costituzionale,  deve  tuttavia  ritenersi
che,  per   effetto   di   un   costante   e   diffuso   orientamento
interpretativo, sia identificabile nel nostro ordinamento, attraverso
l'art. 133 del codice  del  processo  amministrativo,  in  parte  qua
(comma 1, lettera a, n. 2 e comma 1, lettera f), una norma  che,  per
effetto della suddetta esegesi  consolidata  (tale  da  assurgere  al
rango  di  «diritto  vivente»),  consente  alla  P.A.  di  agire  nei
confronti del privato davanti al giudice amministrativo. 
    Pertanto, rispetto ad una disposizione - l'art. 133 in parte  qua
-, nel significato in cui essa «vive»  nell'applicazione  giudiziale,
il  collegio  non  puo'  che   sollevare   d'ufficio   questione   di
legittimita'  costituzionale,  tenuto  conto,  per   quanto   innanzi
esposto, che la stessa appare non superabile  in  via  interpretativa
(in ragione, appunto, del «diritto  vivente»)  e  non  manifestamente
infondata. 
    Peraltro, l'intervento del giudice delle leggi appare necessario,
non  potendosi  prescindere  dalla  definizione  (necessariamente   e
logicamente  pregiudiziale)  di  tale   questione   ai   fini   della
definizione del presente giudizio, in  quanto  l'insussistenza  della
giurisdizione del giudice amministrativo (all'esito del  giudizio  di
fondatezza della questione da parte della consulta), determinando  la
conseguente declinazione della stessa, impedirebbe ogni pronuncia  di
questo giudice in ordine alla  definizione  nel  merito  dell'odierna
controversia. 
    Il  collegio,  in  conclusione,  ritiene  che  la  questione   di
legittimita' costituzionale, per  contrasto  con  gli  articoli  103,
primo comma e 113, primo comma  della  Costituzione,  dell'art.  133,
comma 1, lettera  a),  n.  2  e  comma  1,  lettera  f)  del  decreto
legislativo  2   luglio   2010,   n.   104   (codice   del   processo
amministrativo), nella parte in cui non  escludono  la  proposizione,
nelle  relative  materie  di  giurisdizione  esclusiva  del   giudice
amministrativo, dell'azione giurisdizionale da parte  della  pubblica
amministrazione (parte ricorrente) nei confronti del  privato  (parte
resistente),  sia  rilevante  (sussistendo,  appunto,  il  nesso   di
pregiudizialita' tra la  soluzione  della  prospettata  questione  di
legittimita' costituzionale e la decisione del presente  giudizio)  e
non  manifestamente  infondata,  e  debba,  conseguentemente,  essere
rimessa all'esame della Corte costituzionale, mentre il  giudizio  in
corso deve essere sospeso fino alla decisione della Consulta.